Una lettrice mi ha posto una domanda che mi ha invitato a fare una riflessione profonda sul fenomeno della creatività. Ecco ciò che ci siamo scritte.
Hai l’impressione che a volte la tua scrittura sia ispirata direttamente dall’inconscio o dall’anima? Come cambia la scrittura quando senti che è vivificata da energie inconsce o transpersonali?Come riesci a sentire la differenza tra l’emergenza di tematiche inconsce e qualcosa di più sottile, legato all’energia della tua anima?
Credo sia un fenomeno piuttosto comune tra le persone impegnate in un’attività creativa, quello di ‘perdere’ in un certo senso il controllo e di scoprire con sorpresa che una parte della loro opera scaturisce da una sorgente sconosciuta alla loro mente cosciente. Una ballerina mi harivelato una volta che in certi momenti aveva la sensazione di perdere il controllo del proprio corpo e di ‘essere mossa’ direttamente dalla musica. La stessa perdita di controllo avviene sicuramente anche per certi pittori, scultori, musicisti e ovviamente scrittori. Mi è capitato più volte di rileggere con sorpresa certi brani dei miei scritti, che non ricordavo assolutamente di aver pensato. In altri momenti la scrittura assume un ruolo quasi profetico e questo si potrebbe forse attribuire al contributo dell’anima. Mi è capitato di scoprire che situazioni e personaggi che credevo di aver inventati si presentavano nella realtà qualche giorno dopo. Marguerite Yourcenar, una grande scrittrice, molto attenta alle dinamiche interiori, ha raccontato durante un’intervista di essersi trovata per caso davanti alla tomba di un personaggio che pensava di aver creato. In altre parole vi sono momenti di grazia in cui la creatività permette di valicare i confini dello spazio e del tempo.
“La seconda avventura di Michael Wagner, lo psichiatra protagonista de “Il manoscritto di Clavel”.
Rispondendo a sollecitazioni provenienti da altre dimensioni, Michael, perplesso ed esitante, si reca a Parigi. È una Parigi oppressa dalla pandemia di Coronavirus e funestata da una serie inspiegabile di omicidi. Sulle tracce di un ordine di sacerdotesse che tesse i fili tra i mondi, Michael si troverà coinvolto in una complessa rete, in cui la memoria di donne indipendenti del passato e l’avidità di chi cerca a tutti i costi di svelare misteri che non può comprendere, lo porteranno ad affrontare le proprie ombre. Infine ritroverà Alix, la sua guida e il suo femminile, e potrà finalmente accedere a quei misteri ai quali l’anima lo ha predestinato.
Recentemente ho letto il bel romanzo ‘La Selvatica’ della mia amica Sabina Marineo, studiosa e scrittrice italiana residente in Germania. Sabina ha scritto molti saggi e articoli dedicati a personaggi storici quali d’Artagnan, Gilles de Rais, o Giovanna d’Arco, così come a grandi enigmi del passato tra cui l’Uomo dalla maschera di ferro e i Templari. In questa breve intervista vorrei far conosce ai miei lettori i due romanzi storici di Sabina: La Nuda e La Selvatica.
Come è nata questa nuova vocazione di romanziera? Romanzi brevi e racconti li ho sempre scritti, soltanto per me, sin da quando avevo 12 anni. Avevo già pubblicato anche un romanzo storico breve una ventina d’anni fa. Poi basta, mi sono dedicata del tutto al lavoro di ricerca. La Nuda è nato quasi per gioco dopo una conversazione con un’amica scrittrice. Dialogando sugli ingredienti necessari alla confezione di un buon romanzo storico, mi è venuta voglia di tentare un esperimento. Ho creato un plot e alcuni personaggi, poi ho intrecciato nella vicenda gli elementi chiave di avventura, sorpresa, umorismo, suspense. Così ho iniziato a scrivere il racconto e a poco a poco sono stata ‘catturata’ dalle mie figure che hanno cominciato a vivere di vita propria, tanto che alla fine, quando ho terminato il romanzo, quasi mi dispiaceva lasciarle andare. È stato un gioco meraviglioso, istruttivo, estremamente interessante. Dopodiché La Nuda è rimasto chiuso in un cassetto per alcuni anni. In quel periodo mi occupavo solo di ricerca storica, ho scritto saggi e articoli su temi differenti. Poi, quando ho ripreso in mano il romanzo l’anno scorso e l’ho riletto con il necessario distacco, mi ha divertito davvero come lo leggessi per la prima volta. Allora ho pensato che la ricetta funzionava e che forse anche i lettori si sarebbero appassionati per questa vicenda e i suoi protagonisti.
Perché questa scelta di un romanzo storico? Sono sempre stata attratta dal passato. A parte due piccoli saggi dedicati a temi attuali, ho scritto solo di storia o di preistoria. Venezia è la mia città natale, credo che i due romanzi siano stati motivati da un inconscio desiderio di trasferirmi con la fantasia nella Venezia del Cinquecento.
Un’altra tua passione è il mistero e non è un caso che anche questi due romanzi trattino entrambi di vicende oscure, di enigmi che dovranno essere chiariti. È vero. Il mistero mi piace, trovo che aggiunga un pizzico di brivido alla ricerca. Infatti anche quando scrivo di storia tout court, scelgo sempre enigmi, come l’Uomo dalla Maschera di ferro. La vicenda mi aveva incuriosito fin da bambina. Da adulta, è stato quasi naturale andare negli archivi a spulciare i documenti del tempo per tentare di dare un volto a quel prigioniero illustre e sconosciuto. Poi, una volta raccolte le informazioni per mia curiosità personale, mi sono detta: perché non mettere su carta questa mia ricerca e renderne partecipi anche gli altri?
Ci sono varie ipotesi semi-ufficiali quanto all’identità della Maschera di ferro. Hai optato per una di queste? A mio avviso, dietro la maschera si celava l’ex sovrintendente alle Finanze di re Luigi XIV, Nicolas Fouquet. Quest’uomo era diventato talmente ricco e influente da costituire una vera minaccia per il giovane sovrano, il quale ha preferito eliminarlo per timore di essere eliminato a sua volta e anche per riempire la cassa dello Stato eternamente vuota. Ovviamente prove dirette non ce ne sono. Troppo tempo è passato. Si possono formulare solo delle ipotesi credibili sostenute da validi indizi. E gli indizi in questo caso pesano parecchio. Ma a volte penso che proprio l’impossibilità di ottenere una risposta definitiva conferisca un fascino particolare a certe vicende.
Lo stesso dicasi dei Templari, ai quali hai dedicato un altro libro. Certo! Nemmeno sui Templari si saprà mai tutta la verità. Le fonti storiche attestano che avevano ammassato ricchezze e potere in misura tale da far temere a re Filippo il Bello che tramassero un ‘colpo di stato’ non soltanto in Francia, ma addirittura a livello internazionale.
Infatti. E le accuse di eresia erano, a quei tempi, il mezzo più sicuro per liquidare qualcuno. Del resto le confessioni sono state estorte con la tortura e quindi poco credibili… Sì e no. Esistono confessioni che non sono state rese sotto tortura e che pure parlano di culti segreti. Del resto i Templari aveva soggiornato a lungo in Terra Santa ed erano entrati a contatto con gruppi religiosi e filosofici di ogni genere. Niente vieta di pensare che abbiano ripreso alcune di queste credenze o filosofie e le abbiano fatte loro…
Per tornare al mistero, anche i tuoi saggi ‘moderni’ parlano di enigmi, come le società segrete. È vero. Le società segrete sono esistite nel passato, esistono tuttora ed esisteranno anche in futuro. Sono il terrore dei governanti che fanno di tutto per eliminarle. A buona ragione, perché dove c’è il segreto può esserci anche una minaccia nascosta. La ricerca svolta su quegli argomenti è stata molto interessante per me, anche a livello personale, nonostante io preferisca muovermi nel passato e nella preistoria. Non si può escludere che i due saggi sui temi attuali siano nati da un bisogno inconscio di esorcizzare i frutti amari della globalizzazione in cui siamo costretti a vivere.
In questo contesto hai parlato di civiltà essenzialmente matriarcali. Il femminismo è un altro leit-motiv nei tuoi scritti. Per tornare ai romanzi, uno dei tuoi personaggi più accattivanti, la patrizia genovese Bianca Spinola, è una femminista ante litteram che vuole l’indipendenza di un uomo e indossa persino abiti maschili. Sì, Bianca rivendica una libertà che a quei tempi era appannaggio soltanto dei maschi e perciò si veste da uomo, è un’ottima spadaccina, si sposta a suo piacimento e a qualsiasi ora del giorno e della notte da un luogo all’altro… È ovvio che all’epoca un comportamento del genere poteva essere consentito solo ad una nobildonna straniera molto ricca e influente, una che non aveva conti da rendere a nessuno. Altrimenti le uniche donne vestite da uomo nella Repubblica di Venezia erano le cortigiane. Secondo le cronache del tempo, alcune prostitute si annodavano i capelli sul capo in una bizzarra pettinatura chiamata “a fungo” e giravano per la città in abiti maschili. Giocavano sull’ambiguità per adescare i clienti. Del resto le autorità veneziane dell’epoca incoraggiavano la prostituzione per due motivi: da una parte le meretrici portavano denaro allo Stato (dovevano pagare le tasse ed erano un’attrazione che incentivava il turismo), dall’altra parte potevano essere un deterrente alla dilagante sodomia…
Ma Bianca non coltiva l’ambiguità, tanto è vero che ha un eterno fidanzato, il pittore Lorenzo Luzzo, detto il Morto da Feltre. Si tratta di un artista realmente esistito, non è così? Infatti. Lorenzo, o Pietro Luzzo (su questo punto non vi è certezza assoluta) è veramente vissuto, anche se di lui si sa molto poco e ciò rende la sua figura doppiamente interessante. Tanto più che sembra fosse un ottimo artista. E fu anche soldato. Non si sa perché i suoi colleghi gli avessero affibbiato quello strano soprannome. Forse perché dipinse in luoghi sotterranei, forse per il suo aspetto pallido e melanconico, oppure per il suo carattere taciturno.
Ci sarà un altro episodio delle avventure del pittore dagli occhi viola e della bella Bianca?Non voglio promettere niente, ma non è escluso che in un prossimo futuro esca un nuovo romanzo…
Che ruolo svolgono le visioni nella tua scrittura? Mi ha chiesto recentemente una lettrice. Quella domanda mi ha fatto riflettere e ho pensato di inserire nel blog la mia riposta.
Non so se si può parlare di visioni vere e proprie. Direi che solitamente è piuttosto un personaggio che si impone alla mia mente e comincia in un certo senso ad “abitarmi”. È un fenomeno che ho vissuto fin dall’adolescenza. Mi “innamoravo” di un personaggio, che poteva essere una figura storica o l’eroe di un romanzo o di un film. Il più delle volte comunque si trattava di un personaggio avventuroso o trasgressivo, molto diverso da me che ero piuttosto timorosa e conformista. Cominciavo a portarlo con me per così dire, immaginando situazioni che avremmo potuto vivere insieme. Molti anni dopo, ho sperimentato nuovamente lo stesso fenomeno e ho deciso di mettere nero su bianco i sogni che mi venivano alla mente. È nata così “La Voce ritrovata”. In un primo tempo non pensavo assolutamente di pubblicare quello scritto. È stata una mia amica, cui l’avevo fatto leggere, che mi ha convinto a rimaneggiare quegli appunti e a dare loro la forma di un romanzo.
“Toni e Moni, ovvero guida al romanzo regionale” è un racconto ironico e surreale che ci trasporta in un idillico quanto immaginario villaggio delle montagne austriache il cui nome è già tutto un programma: Pontebbro sulla Menzogna. La storia inizia con la nascita del protagonista, Toni, appunto, il primo nato dell’anno e come tale subito celebrato e citato sul giornale locale. L’altra protagonista, Moni, verrà al mondo qualche tempo dopo, in una famiglia amica di quella di Toni e non vi è il minimo dubbio che i due siano destinati l’uno all’alltra fin dalla più tenera infanzia. A volerlo è soprattutto l’editor del romanzo che ricorda ripetutamente all’autrice, Petra Piuk, che un romanzo regionale deve avere un lieto fine, ossia un matrimonio contadino tradizionale, in costume e con sullo sfondo un paesaggio montano illuminato da un sole splendente. Oltre a svelarci il retroscena della scrittura, con le pressioni esercitate dalla casa editrice che ricorda continuamente a Petra i veri o presunti desideri dei lettori, la vicenda di Toni e Moni ci rivela anche ciò che nascondono le linde facciate della case di Pontrebbro, con le tendine ben stirate e i portarotoli di carta igienica fatti all’uncinetto. Gli abitanti fanno onore al nome del villaggio alzando il gomito generosamente in qualsiasi occasione. Le donne subiscono le conseguenze di queste bevute e si sfogano sui figli in quanto il sano buonsenso insegna che “uno scapaccione al momento giusto non ha mai fatto male a nessuno”. Tutto quanto di spiacevole avviene tra le mura domestiche, o anche fuori, viene taciuto perché anche qui la sana tradizione insegna che “di certe cose non si parla”. Toni e Moni si incontrano, si piacciono, giocano alla famiglia e al matrimonio e tutto sembra indicare che il romanzo proceda spedito verso il lieto fine auspicato. Purtroppo, fin dalle prime pagine della storia, una guastafeste si insinua nell’idillio agreste dove, ci viene ricordato tra le altre cose, gli animali sono molto amati in quanto si sa che l’amore passa dallo stomaco. La guastafeste in questione è la procugina di Toni, una donna che rifiuta il matrimonio, che beve solo acqua, che non mangia carne e che ha lasciato il paese natìo per la città. Un poco di suspence non guasta naturalmente, persino in un romanzo regionale, ma presto l’interferenza deve scomparire e la vicenda deve tornare a filare liscia. Ciò purtroppo non avviene a Pontebbro poiché l’influenza deleteria della procugina spingerà Moni a sognare un destino diverso da quello di moglie di Toni e metterà in pericolo il tanto sospirato lieto fine della vicenda. Persino l’autrice si lascerà demoralizzare e l’editore sarà costretto a mobilitare tutti gli abitanti di Pontebbro per salvaguardare il romanzo. Petra Piuk ci conduce così, con umorismo “noir” e fantasia surreale verso la conclusione della storia di Toni e Moni, i cui lettori non potranno mai più guardare con gli stessi occhi il paesaggio ridente della campagna austriaca.
Petra Piuk, “Toni e Moni”, edizioni 21 Lettere. Traduzione di Silvia Nerini
In una recente intervista, la giallista scozzese Val McDermid ha affermato che i politici più avveduti durante la crisi del Covid 19 sono stati coloro che hanno ammesso di leggere fiction, mentre coloro che sostengono di leggere solo biografie di grandi statisti si sono rivelati spesso poco lungimiranti. La scrittrice spiega il fatto affermando che chi legge romanzi può farsi un’idea di come vivono persone anche molto diverse da loro, mentre i politici che leggono solo biografie di politici hanno una visione più limitata della vita. Spingendo un poco più in là il ragionamento si potrebbe dire che solo un politico che legge letteratura fantastica può prevedere crisi future. Sembra infatti che la possibilità di una pandemia fosse stata prevista già nel 1981 dallo scrittore statunitense Dean Koontz in un romanzo intitolato “ The eyes of darkness”. Nonostante che i critici abbiano sottolineato differenze sostanziali tra il virus Wuhan 400 di Koontz e il Covid 19, certe similitudini dovrebbero far riflettere…
Anni fa ho avuto il privilegio di intervistare un fisico, allievo di Einstein: il Prof. Olivier Costa de Beauregard. Nel corso del nostro colloquio, dedicato al tema del tempo, il professore mi parlò dell’esperienza vissuta da due docenti universitarie inglesi, Anne Moberly ed Eleanor Jourdain, che il 10 agosto 1901, ossia quasi esattamente 119 anni fa, mentre visitavano il parco del castello di Versailles, si trovarono proiettate indietro nel tempo fino al 5 ottobre del 1789 e videro Maria Antonietta nella sua fattoria del Petit Trianon. Oltretutto le due donne ebbero modo di interagire, se non con la stessa regina, almeno con alcuni personaggi del suo seguito.
Anne ed Eleanor raccontarono la loro esperienza in un libro intitolato “An Adventure”, pubblicato per la prima volta nel 1911. Il racconto ebbe grande successo e suscitò molte discussioni. Secondo alcuni le due donne avrebbero visto semplicemente dei fantasmi, il che, a quanto pare, succede a volte nel parco di Versailles. Ma per altri, tra cui lo stesso Einstein, che ebbe modo di leggere il libro, si trattò di un autentico viaggio nel tempo poiché le protagoniste non ebbero solo la visione di personaggi da tempo scomparsi, ma videro altresì il parco di Versailles esattamente come era ai tempi di Maria Antonietta.
Oggi il tema de viaggio nel tempo è tornato d’attualità e la scienza non lo considera impossibile, anche se per ora esclude che lo si possa compiere a volontà. Einstein tuttavia non escludeva che, in determinate circostanze, alcune persone possano “cadere nelle pieghe dello spazio-tempo”, come successe appunto alle due intellettuali inglesi